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Prefazione

 

 

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Questo libro fa parte della collana Storie nella Storia del Friuli, una raccolta delle "biografie" di alcuni personaggi poco noti della storia friulana, molto distanti tra loro per spazio e per tempo, le cui esistenze, storicamente documentate, hanno attraversato un lunghissimo periodo che va dall'anno Mille alla fine della Seconda Guerra mondiale.
 

Molti personaggi minori (alcuni realmente esistiti, altri del tutto inventati) fungono da testimoni e narratori delle microstorie di cui vive il racconto principale incentrato sulla vita delle protagoniste.
 

Prima che di "Storia", dunque, questo libro si occupa di "storie" raccontate da donne, uomini, ragazzi, preti, streghe e contadini che parlano di guerra e di amore, di viaggi e pellegrinaggi, di vendette e di onore, di morte, lavoro, fede, rancori, solidarietà.
I dialoghi inseriti nel testo, come anche molte ricostruzioni di ambienti interni e di paesaggi, pur essendo verosimili sono ovviamente frutto di fantasia e alle volte si allontanano dal vero per libera scelta o per necessità.
 

Lo scenario storico e geografico in cui i personaggi si muovono, il tipo di vita che conducono e i grandi poteri che li governano e che decidono il loro destino hanno, invece, rigorose radici storiche e documentarie.
L'uso di fonti iconografiche (stampe e dipinti del tempo) per dare un volto a persone, luoghi, oggetti e situazioni rende ancor più vive, perché visibili, le storie narrate.
 

L'antico complesso della Centa, dopo essere stato lasciato in uno stato di totale abbandono fin dai tempi del secondo dopoguerra, è stato acquistato e ristrutturato da Bruna e Claudio Pizzi i quali, durante il loro intenso e pregevole lavoro intrapreso per ridare nuova linfa ad un luogo che ormai aveva perso da parecchio tempo la sua funzione originaria, hanno fatto un'interessante scoperta: la struttura bassomedievale della canipa era stata costruita sopra una necropoli altomedievale. Gli archeologi, dopo due campagne di scavo e un intenso lavoro di studio e di analisi, hanno potuto stabilire che le persone sepolte appartenevano alla civiltà slavo-carinziana di Kòttlach. Il patriarca di Aquileia tra il IX e il X secolo, in seguito alle scorrerie degli Ungari, aveva infatti ripopolato la Bassa friulana con coloni di origine slava, il cui insediamento ha lasciato chiare tracce nella toponomastica locale.


La centa di Joannis era un tempo il centro della vita religiosa e civile della comunità, il luogo dove per secoli si è riunita la vicinia, dove si sono svolti riti sacri e profani, dove gli antichi abitanti hanno affrontato, tutti uniti, le traversie della storia e costruito il futuro del loro villaggio. È divenuto, ora, un luogo di grande suggestione capace di evocare ancora le voci di un passato vitale e intensamente vissuto.


Roghneda e tutti i personaggi di questo lungo racconto non hanno ovviamente riscontri storici, così come è di pura fantasia la ricostruzione del villaggio altomedievale e del paesaggio circostante che questi antichi immigrati furono chiamati a ripopolare dopo le distruzioni portate dalle orde degli Ungari in territorio friulano. I grandi poteri che li governano e decidono il loro destino hanno, invece, rigorose radici storiche e documentarie.


La loro vita è stata immaginata sulla base di documenti del periodo in cui sono vissute le persone che per secoli hanno riposato entro le mura della centa di Joannis e che sono venute alla luce nel corso delle campagne di scavi. Non tutti i particolari, dunque, sono reali - moltissimi, anzi, si allontanano dal vero per libera scelta o per necessità - ma sicuramente racchiudono lo spirito di qualcosa che sarebbe potuto accadere davvero.

 


 

 

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